sabato 11 settembre 2010

Popper, parte 1.

Premetto che l'unico libro di Popper che io abbia mai letto nella mia - tutto sommato inutile - vita è stato Miseria dello storicismo. E già qui qualcuno potrebbe storcere il naso: "non hai veramente letto quel libro di Popper, ma solo una sua traduzione"; che dire?, eccezione ineccepibile. Peraltro vi sono stato costretto: dal momento che mi autoproclamo marxista e comunista non ho potuto non fare i conti con uno dei libelli di critica al marxismo più (e peggio, e più a sproposito) citati dai ""liberali"".
Del Popper epistemologo e/o filosofo della scienza ho leggiucchiato solo i pochi brandelli (o meglio una loro traduzione) riportati da Geymonat, da Feyerabend e dal manuale di filosofia del liceo; il resto è, infine, mero sentito dire, voce di corridojo.
Quando, dunque, nel seguito userò locuzioni del tipo "Popper ha affermato che [tale proposizione]" si dovrà intendere che a Popper viene - diffusamente e volgarmente - attribuita l'affermazione in base a cui [tale proposizione]; non parlerò, dunque, dell'uomo Popper in carne ed ossa, ma della sua posticcia trasposizione nell'immaginario collettivo.

Un ottimo punto di partenza in tal senso può essere la solitamente mediocre wikipedia in idioma italico. In effetti alla voce falsificabilità oggidì leggesi:
Il criterio di falsificabilità afferma [...] che una teoria, per essere controllabile, e perciò scientifica, deve essere "falsificabile": in termini logici, dalle sue premesse di base devono poter essere deducibili le condizioni di almeno un esperimento che la possa dimostrare integralmente falsa alla prova dei fatti, secondo il procedimento logico del modus tollens (in base a cui, se da A si deduce B, e se B è falso, allora è falso anche A). Se una teoria non possiede questa proprietà, è impossibile controllare la validità del suo contenuto informativo relativamente alla realtà che essa presume di descrivere.
Partiamo dunque da questo pasticcio.
In questa puntata pilota potrebbe essere simpatico chiedersi qualcosa di facile: quando è possibile falsificare una teoria?, o, meglio ancora, semplificando ulteriormente: quando è possibile falsificare un'affermazione?, di qui mi ripropongo di arrivare alla risposta """esatta""" (quando è molto elementare (in gergo: monoteorica)) e - molto modestamente - alla tesi Duhem-Quine (ed ai rilievi di Lakatos).

Per prima cosa prendiamo l'affermazione (i): "il mio gatto è bianco".
Mettiamo subito da parte i problemi di senso più estremi tipo cos'è l'io? o cos'è il possesso?, altrimenti famo notte.
Mettiamo da parte anche dubbi del tipo: non potrebbe darsi che tu non abbia alcun gatto?, no, ce l'ho, non rompere i coglioni.
Altri problemi sono facilmente aggirabili: se ci si chiede per esempio: perchè un gatto sia bianco è forse necessario che siano bianchi anche i suoi organi interni?, posso riformulare il tutto in termini del colore del suo pelo; e se a quel punto ci si chiedesse: che vuol dire che il pelo di un gatto è bianco?, e se c'è la famigerata macchia nera sul muso? posso precisare meglio la definizione nel senso di richiedere che il pelo sia completamente bianco, ossia che ogni singolo pelo del gatto sia bianco; e così via, passando per quando?, in che condizioni di luce?, chi discriminerà tra bianco e non-bianco? etc.
Supponiamo di aver risolto tutti questi problemi. A quel punto possiamo essere d'accordo sul fatto che l'affermazione iniziale - opportunamente rivisitata - sarà provata falsa, ossia falsificata, se e solo se il nostro arbiter biancorum avrà trovato anche un solo pelo non-bianco.

Che succede, invece, con l'affermazione (ii): "il Maksim Gorkij è più veloce della Ferrari Testarossa"? Sulle prime si potrebbe pensare che tra (i) e (ii) non vi sia nulla di sostanzialmente dissimile.
Anche qui ci sono i soliti problemi cosmici di senso, da quelli relativi alla definizione di velocità, a quelli concernenti il processo di misura, fino a cose più ineffabili tipo: perchè posso confrontare la velocità di un aereo e quella di un'automobile?, oppure: che senso ha parlare di velocità globabe di un corpo che contiene parti in movimento relativo tra loro?, che può portare a: ma gli atomi che compongono i gas di scarico dell'automobile fanno o meno parte della stessa?, etc.
Anche qui, inoltre, affinchè l'affermazione abbia ""completamente"" senso è necessario riformularla in maniera più precisa, specificando dunque a quale esemplare di Testarossa ci si riferisce, ricorrendo per esempio alle velocità massime o medie rilevate in occasione di ben determinate crociere, etc.
Una volta che tutta questa roba qui è stata messa a posto in qualche modo - ovvero precisando meglio laddove si può, e facendo finta di niente laddove non si può - apparentemente la falsificazione di (ii) sembrerebbe un'operazione molto semplice: (ii) sarà stata provata falsa se e solo se, confrontando i numerini esprimenti la velocità della Testarossa e quella del Gorkij si sarà riscontrato che il primo è maggiore del o uguale al secondo.
Peccato, però, che alcune differenze significative proprio non possano essere ignorate.
Per esempio, a differenza del primo caso, in cui posso tosare il mio gatto, impacchettare tutti i suoi peli, spedirli al nostro arbitro e lascargli decidere se sono tutti bianchi oppure no, qui sto facendo delle misure indirette: la velocità della Testarossa sarà ricavata contando i giri compiuti da una ruota (in tutto questo sto ignorando un bel po' di cose, dal rotolamento con strisciamento alla deformabilità e variazione di pressione delle gomme, passando probabilmente il differenziale, etc.) e moltiplicando per 2πR e dividendo per un tempo, mentre quella del Gorkij è determinata misurando la velocità di scorrimento dell'aria in un tubo di Pitot; mi sto dunque servendo di un enorme bagaglio di teorie (sicuramente la geometria, la meccanica classica e la fluidodinamica), senza le quali non posso tirar fuori alcun numero.
Perchè, dunque, possa pensare di aver falsificato definitivamente (ed è qui che giace quella crucialità cui si allude nella locuzione experimentum crucis) l'affermazione (ii) devo ritenere che il suddetto bagaglio sia sempiternamente ed indubitabilmente vero; ma qui il buon vecchio Popper interviene a gamba tesa, e mi dice che non posso farlo - benchè poi, a mio modestissimo parere, introducendo la storiella della "corroborazione" il nostro si sia de facto rimangiato buona parte della sua critica alle idee degli amici verificazionisti.
Per cui, come stanno le cose in ""realtà""?
Ho presentato alla natura un pacco regalo contenente geometria, meccanica classica, fluidodinamica, etc. e la mia affermazione (ii), e quella mi ha gentilmente risposto: incoerente. Pretendere che la natura mi dica pure dov'è l'inghippo sarebbe come ammettere che non mi va di fare un tubo, cosa che peraltro generalmente ammetto a cuor leggero. C'è, dunque, ""qualcosa di sbagliato da qualche parte"", ed il bello è che può trattarsi tanto di (ii) quanto di una qualunque delle ""conoscenze di sfondo"" utilizzate per poter tirar fuori dei numeri dall'esperimento. Popperianamente dobbiamo concludere che fino a quando le suddette conoscenze di sfondo staranno in piedi - o quanto meno saranno legittimamente "applicabili ai fenomeni" coinvolti nel nostro esperimento - il Gorkij sarà stato più lento della Testarossa. Poi chissà...

martedì 9 marzo 2010

Sull'impartizionabilità della Palestina

Per prima cosa, sarebbe un grave errore pensare che nella "moderna" Palestina la popolazione non-ebraica sia interamente araba: se pure non vi fosse stato nemmeno un ebreo - ed a quanto pare ce n'erano da molto prima del sionismo - quella terra sarebbe comunque stata a tutti gli effetti un bel melting pot ante litteram; del resto, essendo invalsa la prassi, da parte degli inventori di religioni, di proclamare Gerusalemme città santa (vedi a margine la scazzottata tra clerici avvenuta pochi anni fa nella basilica del Santo Sepolcro), la tal cosa appare inevitabile.
L'immigrazione ebraica funzionò ad ondate; una delle più importanti la si ebbe effettivamente negli anni '30; ma ciò non toglie che già da tempo ed in diverse regioni gli ebrei si ritrovavano ad essere in numero pari o addirittura superiore rispetto a quello dei musulmani (vedi per es. proprio Gerusalemme, almeno a partire dalla fine dell'800).
Con l'entrata in vigore del mandato, le quote dell'immigrazione ebraica furono "gestite" dai britannici; con difficoltà enormi, sia intrinseche, sia perchè indie busillis il contesto interno ed internazionale pare fosse abbastanza problematico; sarebbe comunque scorretto pensare che sionismo e mandato siano andati sempre d'amore e d'accordo: i contrasti ci furono, anche molto aspri (vedi i numerosi attentati di inedita ferocia che i britannici subirono da parte di diverse formazioni indipendentiste ebree). Peraltro, immediatamente prima della presentazione del piano di partizione, fu proprio un episodio di respingimento (la Exodus) a creare, nell'opinione pubblica internazionale, un moto di simpatia verso la causa ebraica.
In ogni caso l'insediamento non fu imposto coi carri armati: case e terreni per gli ebrei furono acquistati dall'Agenzia Ebraica, dai Rotschild o da altre associazioni filantropiche; si sa con discreta certezza che già nel '45 gli ebrei possedevano circa la metà delle terre delle zone urbane e dei villaggi.
Il primo punto problematico del piano di partizione fu proprio che in Palestina, a fronte di enormi regioni interamente incolte, c'erano relativamente poche zone abitate, ed in un gran numero di queste ebrei ed arabi erano concentrati spalla contro spalla in numeri del tutto confrontabili; l'immigrazione ebraica aveva col tempo permeato tutta la zona che dal lago di Tiberiade scende lungo la costa del Mediterraneo; così nel dopoguerra i due popoli non erano più separabili, quantomeno non compatibilmente con l'opzione che ognuno conservasse la propria casa (magari qualche città la si sarebbe potuta berlinizzare... e già non si sta parlando di un'idea brillante). Gli inglesi questo lo sapevano bene - non a caso avevano già elaborato piani che prevedevano trasferimenti di massa - e forse lo sapeva bene anche l'UNSCOP quando premetteva di aver lavorato sin dall'inizio con la coscienza che nessun piano sarebbe potuto essere pienamente soddisfacente per entrambi.
Il secondo punto problematico fu la suddivisione in sè; il dato spesso tirato in ballo è che ad un terzo della popolazione fu data più della metà delle terre; il dato andrebbe innanzitutto contestualizzato storicamente: le previsioni erano quelle di un'enorme ondata di nuovi immigrati ebrei, e si sa che una volta che dei confini sono fissati, li si sposta solo a suon di projettili; il dato andrebbe anche contestualizzato geologicamente: il 40% dello stato ebraico era il deserto del Negev (certo oggi si sa che è ricco di materie prime, ma l'idea che quelli dell'UNSCOP potessero saperlo già nel '47 mi pare improbabile), mentre tutta l'acqua andava agli arabi; la vera iniquità probabilmente era un'altra: l'assegnazione dei 2/3 della costa mediterranea agli ebrei.
Il terzo punto problematico fu la legittimità dell'operazione da un punto di vista meramente giuridico (ivi compreso il valore legale della risoluzione 181, la cui approvazione richiese una maggioranza di 2/3); sulla questione vengono sollevate parecchie eccezioni, la gran parte delle quali mi pare "sacrosanta"; però per argomentarne con piena cognizione di causa sono necessarie competenze tecniche che non ho.

sabato 6 marzo 2010

Storia della Palestina (senza nomi e/o cognomi)

  1. Prim'ancora che la prima scazzottata mondiale finisse, i buoni s'erano già spartiti le spoglie di uno dei grandi malati - quello che a posteriori è chiaro che era un malato, visto quanto vi si fuma e che il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno (forse non a caso intorno gli stavano proprio gli altri due grandi malati). Per non farlo sembrare il solito furto coloniale, ci si era messi d'accordo nel dire tutti insieme che gli indigeni del tale impero erano troppo piccoli per avere uno stato tutto loro, e, nel mentre che raggiungevano la maggiore età, i buoni si sarebbero presi cura di loro e delle loro terre.
  2. All'interno del tale impero malato c'era una terra che alcuni chiamavano Palestina; era grande più della Padania, ma piena di deserti, ed, al tempo, abbastanza disabitata; oggi in effetti ci vive quasi il decuplo di quanti ve n'erano a metà del 900 - che però non è mica 450.
  3. Dopo secoli di trionfi sull'orbe terraqueo, i bevitori di the erano arrivati al secolo vigesimo col fiato un po' corto; acquaticamente erano ancora abbastanza bravi, ma per vincere le nuove guerre ciò non sufficieva; così hanno dovuto fare varie cose poco raccontabili, per esempio una guerra finta oppure il terrorismo dall'aere assieme agli amici sceriffi, di cui col tempo hanno preso a interpretare il ruolo di spalla. Tra le altre cose, nei posti esotici avevan preso l'abitudine di raccattare alleati promettendogli mari e/o monti, senza però che poi necessariamente glieli si dava.
  4. Tra questi alleati però c'erano stati alcuni che portavano il cognome della famiglia di un noto profeta pedofilo; questi amici avevano addotto un bel po' di lutti ai mangiatori di crauti, acri nemici dei bevitori di the; poi però erano stati cacciati da altri re (dei re così affezionati al loro nuovo regno da chiamarlo con il loro cognome). Così per evitare che i re dal cognome importante divenissero disoccupati, alla fine del secondo ammazzamento globale i bevitori di the presero una mappa della Palestina, videro che c'era un fiume, e pensaron bene di dare tutta la terra a destra del tale fiume ai tali re, che così potevano farsi un bel reame sostitutivo.
  5. Ad ovest del tale fiume rimaneva un 20% della Palestina; poco, però intanto proprio lì s'era creato un periglioso guazzabuglio; ogni 100 persone ne incontravi 60 che credevano alle profezie del profeta pedofilo e 35 che credevano di essere stati eletti da un signore cieleste (dal nome strano, cattivo coi cattivi ma così buono coi buoni che gli faceva attraversare i mari non a nuoto ma a piedi tra le acque separate), poi c'è sempre qualcuno che non sa/non risponde e poi c'erano ovviamente alcuni bevitori di the a custodire.
    Quelli del profeta stavano lì da qualche secolo, perchè il profeta ed i discendenti del profeta erano stati a lungo guerrieri santi, ed avevano conquistato un sacco di terre, su cui per secoli non c'era stata distinzione tra un popolo e un altro, perchè si era tutti similmente adoranti.
    Gli eletti invece avevano vissuto lì qualche millennio prima, arrivandoci proprio in riscossione di una promessa del loro elettore, per poi essere sparpagliati un po' dappertutto, ma con la prospettiva elettorale che un giorno ci sarebbero ritornati.
    Nel frattempo erano venuti pure i seguaci di un mago avvinazzatore d'acque; col tempo ogniqualvolta qualcosa andava storto questi usavano gli eletti come sacchi per cazzotti; così verso la fine dell'800 nelle terre orientali di quelli del mago qualche eletto - che già era tra i meno eletti degli eletti - un po' scocciato del tale andazzo progettò, mediante opportuno decreto interpretativo de' libri sacri, il ritorno anticipato nella terra promessa - solo pochi millenni prima.
    Ora non è che i due grossi gruppi abitavano in zone diverse; no, anzi a volte lavoravano nelle stesse fattorie, oppure avevano ognuno il suo quartiere nelle stesse città e via dicendo. E tra i vari popoli e i custodi nessuno andava d'accordo con nessun'altro.
  6. Alla fine della seconda mattanza mondiale, i buoni avevano deciso che per essere tutti più buoni a poco a poco si ridavano le terre ai loro pur immaturi inabitanti; ma in Palestina c'era un evidente problema perchè c'erano due tipi di inabitante, che tra loro andavano poco d'accordo.
    Ognuno dei popoli diceva (a ragione) che i bevitori di the gli avevan promesso un proprio stato in Palestina.
    Gli adoratori del profeta pedofilo dicevano che stavano lì da più tempo e che nel resto dell'impero malato (quasi) tutti gli indigeni avrebbero avuto un loro stato, e dunque pure loro.
    Ma gli eletti dicevano che se non gli si dava uno stato tutto loro avrebbero potuto essere usati di nuovo come sacchi per cazzoti o peggio, come era appena accaduto, come materiale per paralumi; e poi quella era pur sempre la terra promessa dall'elettore prim'ancora che gli altri vi mettessero piede, tant'è che - alcuni sostenevano - certi di loro v'erano rimasti continuativamente per millenni.
    Dunque persino decidere sulla questione di chi era arrivato prima era intricato, perchè ci sarebbe stato da vedere bene chi era figlio di chi, cosa che però dopo la seconda rissa mondiale non si può più fare perchè se no si è razzisti.
  7. Per fortuna i buoni, per prevenire ogni futura scazzottata, avevano appena creato un club di tutti gli stati, ovviamente comandato da loro stessi ma che, nel marasma dei tempi e poichè verniciato di fresco, poteva ben sembrare un ente buono e terzo. Così i bevitori di thè dissero al tale club di pensarci lui, e lui disse a un suo sottoclub di pensarci lui, e questo sottoclub ci pensò e propose al club un piano che avrebbe risolto tutto dando uno stato a cada popolo.
  8. Ma il piano faceva un po' schifo perchè dava agli eletti, che erano di meno, più terra di quanta ne dava a quelli del profeta, che erano di più; in realtà la parte in più data ai meno era deserto, però i meno avevano anche un sacco d'altre parti belle, in cui c'erano un sacco di più - anche se localmente erano meno - mentre nelle terre dei più non c'era quasi nessun meno; poi i confini dei tali stati si intorcinavano al punto che se un singolo più/meno voleva andare da una certa parte dello stato dei più/meno ad un'altra parte dello stato dei più/meno doveva per forza passare per una parte dello stato dei meno/più.
  9. Il piano era solo un consiglio, però uno di quei consigli che fai bene ad ascoltare, chè te lo stanno dando così tante persone che se poi fai in un altro modo son cazzi tuoi. Ma per valere come consiglio, il piano doveva essere prima approvato dal club; così siccome ovviamente a quelli del profeta piaceva poco, mentre agli eletti molto, se il club approvava vincevano gli eletti, se no quelli del profeta.
  10. In quei giorni putava caso che gli sceriffi erano il popolo più potente del mondo; e che tra gli sceriffi c'erano altri eletti, che nello scenario sceriffo avevano una certa qual possanza; questi eletti sceriffi erano così tanto più eletti degli eletti di Palestina che di solito si facevano solo i fatti loro e di quegli altri non gliene importava un fico; ma per una serie di coincidenze e chissà cos'altro, la storia del piano finì per affettarli; così i super-eletti ruppero le scatole agli sceriffi, che allora fecero volare qualche parolone con qualche stato fantoccio e così il piano passò.
  11. Il giorno dopo, la guerra.

PS: locuzioni come bevitori di the, ed anzi l'idea stessa di aggirare la qualsivoglia denominazione propria (eventualmente come conseguenza di una necessità legata all'atto censorio e fascio), sono frutto dell'ingegno del più acuto pensatore contemporaneo, Bubbo Bubboni; io, molto affascinato dalla tal cosa, l'ho solo scimmiottata.

martedì 6 gennaio 2009

Breve e bucherellata storia della Palestina (1900-1950)

Fino alla prima guerra mondiale la Palestina faceva parte dell'impero ottomano; era previsto che, in caso di una sconfitta degli imperi centrali, le regioni non turche dell'impero ottomano sarebbero state smembrate tra le potenze vincitrici.

I primi due elementi importanti di cui tener conto sono i seguenti: 1. in occasione della rivolta araba (16-18) contro gli ottomani, i britannici promettevano la Palestina agli arabi una volta che la regione fosse diventata indipendente; 2. nella dichiarazione di Balfour (17) dicevano di guardare con favore alla costruzione di una "national home" ebraica in Palestina. In pratica la stessa cosa era stata promessa a due differenti interlocutori.

Nel 22, con un apposito Mandato, la Società delle Nazioni affidò l'amministrazione (non dunque la sovranità, che si riteneva appartenere ai cittadini) della Palestina al Regno Unito. Durante il mandato britannico l'Agenzia Ebraica acquistò molti terreni nella zona da grandi latifondisti arabi, e diede una brusca accelerazione all'immigrazione in Palestina: gli ebrei passarono dagli 80 mila ad inizio mandato (circa un decimo della popolazione) ai circa 450 mila nel 39 (poco meno di un terzo della popolazione).

I rapporti tra arabi ed israeliani peggiorarono progressivamente, sia per un discorso puramente demografico (gli arabi temevano entro il termine del mandato di diventare minoranza, con la prospettiva di poter essere costretti a vivere da minoranza in un eventuale stato ebraico), sia per un discorso di convivenza problematica (gli ebrei erano restii ad assumere forza lavoro araba sui terreni acquistati: spessissimo, dunque, con il passaggio di proprietà di alcuni terreni, i braccianti arabi si ritrovavano sia disoccupati sia costretti ad emigrare altrove).
L'episodio più critico si ebbe con la Grande Rivolta Araba del 36-39, con gli arabi che insorsero clamorosamente contro i britannici e colpirono a più riprese anche comunità ebraiche; gli ebrei per contro organizzarono forze paramilitari e combatterono a fianco degli inglesi per reprimere l'insurrezione.

A questo periodo risalgono due passaggi importanti: 1. la commissione Peel per la prima volta ipotizzò la necessità di creare di due stati separati per i due popoli, la cui omogeneità etnica sarebbe stata ottenuta con un trasferimento massiccio di popolazione (ma asimmetrico: si sarebbero dovuti spostare oltre 200 mila arabi contro poco meno di 2 mila ebrei); 2. il libro bianco per la prima volta determinava una pianificazione quinquennale per l'immigrazione ebraica nella zona che poneva un tetto annuo di immigrati, limitava la possibilità di acquisto di terre da parte dell'agenzia ebraica, e stabiliva per il futuro che le politiche sull'immigrazione ebraica sarebbero state concordate con gli arabi.

Al termine del conflitto mondiale, la popolazione della Palestina era di 1 milione ed 800 mila unità, di cui sempre poco meno di un terzo ebrei.
Nell'ottica della costituzione dell'ONU, la Società delle Nazioni venne sciolta ed in particolare il 18 aprile 1946 "le sue funzioni rispetto ai territori mandatari" vennero dichiarate "terminate"; va sottolineato come non esista alcun atto legale che implicasse il trasferimento di sovranità delle amministrazioni fiduciarie dalla Società delle Nazioni all'ONU.
Nell'immediato dopoguerra la situazione era incandescente, in conseguenza delle spregiudicate azioni terroristiche da parte di diversi gruppi ebraici - essenzialmente ai danni della potenza mandataria - così - a prescindere dal problema della legalità o meno della loro autorità amministrativa - i britannici, ormai consci dell'impossibilità di soddisfare le confliggenti aspettative di arabi ed ebrei, manifestarono pubblicamente verso la metà del 47 l'intenzione di rinunciare unilateralmente al Mandato di lì a un anno.

Si pensò, così, di affidare alla neonata ONU il problema di determinare un nuovo assetto della zona; così l'Assemblea Generale creò una apposita commissione (denominata UNSCOP e formata da sole nazioni "minori", con l'intenzione di prevenire un'eventuale posizione preconcetta sulla questione) deputata a redigere una bozza sullo status da mettere in atto a partire dall'imminente ritiro britannico; alla fine fu elaborato un piano di spartizione, in base al quale la Palestina veniva suddivisa in tre zone: uno stato arabo, uno ebraico, ed una zona di amministrazione fiduciaria corrispondente alla popolosa area intorno a Gerusalemme (all'epoca abitata in modo rilevante sia da ebrei che da arabi). Agli ebrei, che sul finire del 47 costituivano il 37% della popolazione, era assegnato il 55% del territorio (di cui fino a quel momento avevano posseduto solo il 7%); in particolare la regione settentrionale presso il lago di Tiberiade, la fascia costiera centrale e quasi tutto il Negev (desertico, ma ricco di risorse), compreso lo sbocco sul Mar Rosso; il loro stato avrebbe ospitato una minoranza araba enorme, pari al 45% della popolazione. Per contro, lo stato arabo era formato da tre blocchi, la Galilea, la regione circostante Gerusalemme lungo la costa ovest del Giordano, e la regione costiera meridionale; la minoranza ebrea sarebbe stata del 10%.
Importante notare come essuna delle due entità avrebbe avuto contiguità territoriale. Lo sbilanciamento a favore degli ebrei nell'assegnazione delle terre - sia quantitativo che qualitativo: nello stato ebraico era concentrata la gran parte delle terre coltivate - era giustificato in termini della prevista ondata di immigrati provenienti dall'Europa come conseguenza geopolitica della Shoah. Da un certo punto di vista si ripresentava l'asimmetria del piano della commissione Peel: mentre il 31% degli arabi, ossia 405.000 persone, non si sarebbero trovati a vivere né nello Stato arabo, né nella regione di Gerusalemme, solo il 2% degli ebrei, cioè 10.000 persone, non si sarebbero trovati né nello Stato ebraico, né nella zona internazionale di Gerusalemme.

La proposta dell'UNSCOP fu sottoposta all'esame dell'Assemblea Generale; per essere approvata necessitava di una maggioranza dei 2/3; dopo due votazioni con esito negativo il 29 novembre 47, grazie ad un indefesso lavorio diplomatico, anche notturno, da parte delle elite ebraiche e degli USA, fu promossa all'interno della risoluzione 181 (33-13-10), con il voto favorevole delle due superpotenze, quello contrario di tutti i paesi arabi, e l'eloquente astensione britannica (che già preconizzava l'inadeguatezza del piano).

Gli ebrei (ovviamente) erano sostanzialmente favorevoli alla proposta, mentre gli arabi erano quasi completamente contrari. Gli stati arabi membri dell'ONU dissero di considerare la risoluzione nulla ed invalida (va detto peraltro che le risoluzioni dell'Assemble Generale sono generalmente considerate non vincolanti sul piano del diritto internazionale) e fecero immediato ricorso alla corte internazionale di giustizia per un suo annullamento; si obiettava (peraltro proprio sulla scorta del principio di autodeterminazione, che l'ONU stessa pretendeva di ergere a pilasto della politica internazionale) sulla competenza dell'assemblea delle Nazioni Unite nel decidere la ripartizione di un territorio contro la volontà della maggioranza (araba) dei suoi residenti; il ricorso fu respinto.

Questo della Palestina costituiva, per l'ONU, il primo significativo banco di prova; e molto significativamente, il giorno dopo l'approvazione della 181 in Palestina scoppiava la guerra civile.

Il 14 maggio 1948, un giorno prima che terminasse il mandato britannico, gli ebrei (che in quel momento controllavano una zona sostanzialmente coincidente con quella prevista dal piano di partizione, con l'aggiunta di una lingua di terra che raggiungeva la zona degli insediamenti ebraici nella parte ovest di Gerusalemme) proclamavano (a partire dal giorno successivo) la nascita dello Stato di Israele; il riconoscimento da parte degli Stati Uniti fu questione di ore; tuttavia Israele era guardato con simpatia anche dalle sinistre mondiali; così il riconoscimento ufficiale da parte dei più importanti attori della comunità internazionale arriveranno già nel corso del suo primo anno di esistenza (questo è uno spoiler: Israele sopravviverà). A partire dal 15 maggio gli eserciti dei paesi arabi confinanti entravano in Palestina.

Al termine dei combattimenti (marzo 1949) diversi accordi armistiziali suddivisero de facto la Palestina nelle zone controllate dai belligeranti al momento del cessate il fuoco: Israele, dopo alterne vicende, si era ulteriormente allargato estendendosi praticamente su tutta la Palestina ad eccezione della striscia di Gaza, controllata dall'Egitto, e della Cisgiordania, controllata dalla Giordania; in assenza di veri e propri trattati di pace internazionali tra le parti in causa (in assenza peraltro di reciproco riconoscimento), le linee di demarcazione non divennero mai dei confini de jure; in particolare la "linea verde" che separava le zone israeliana e giordana divideva pure Gerusalemme: la parte est era sotto il controllo giordano, quella ovest sotto quello israeliano.
La società arabo-palestinese era distrutta; diverse centinaia di migliaia di arabi avevano lasciato (in parte spontaneamente, in parte forzatamente) le loro case, ed al termine della guerra trovarono rifugio a Gaza, in Cisgiordania ed, in misura minore, in (trans)Giordania (alcuni anche in Libano ed Egitto). Gli stati arabi uscivano dalla guerra sostanzialmente sconfitti militarmente, gravati dal problema sociale ed economico dei profughi, e destinati a fronteggiare le inevitabili ripercussioni sull'ordine interno della mancata vittoria sulla cosiddetta "entità sionista".

Dopo essere stata ammessa nelle Nazioni Unite, tra il dicembre 49 ed il gennaio 50 Israele determinò Gerusalemme propria capitale, trasferendo i suoi principali enti amministrativi nella parte ovest della città; successivamente, sempre nel 50, la Giordania proclamò l'annessione di tutta la Cisgiordania, dunque anche di Gerusalemme Est; non nacque alcuno stato arabo.

(continua)