martedì 6 gennaio 2009

Breve e bucherellata storia della Palestina (1900-1950)

Fino alla prima guerra mondiale la Palestina faceva parte dell'impero ottomano; era previsto che, in caso di una sconfitta degli imperi centrali, le regioni non turche dell'impero ottomano sarebbero state smembrate tra le potenze vincitrici.

I primi due elementi importanti di cui tener conto sono i seguenti: 1. in occasione della rivolta araba (16-18) contro gli ottomani, i britannici promettevano la Palestina agli arabi una volta che la regione fosse diventata indipendente; 2. nella dichiarazione di Balfour (17) dicevano di guardare con favore alla costruzione di una "national home" ebraica in Palestina. In pratica la stessa cosa era stata promessa a due differenti interlocutori.

Nel 22, con un apposito Mandato, la Società delle Nazioni affidò l'amministrazione (non dunque la sovranità, che si riteneva appartenere ai cittadini) della Palestina al Regno Unito. Durante il mandato britannico l'Agenzia Ebraica acquistò molti terreni nella zona da grandi latifondisti arabi, e diede una brusca accelerazione all'immigrazione in Palestina: gli ebrei passarono dagli 80 mila ad inizio mandato (circa un decimo della popolazione) ai circa 450 mila nel 39 (poco meno di un terzo della popolazione).

I rapporti tra arabi ed israeliani peggiorarono progressivamente, sia per un discorso puramente demografico (gli arabi temevano entro il termine del mandato di diventare minoranza, con la prospettiva di poter essere costretti a vivere da minoranza in un eventuale stato ebraico), sia per un discorso di convivenza problematica (gli ebrei erano restii ad assumere forza lavoro araba sui terreni acquistati: spessissimo, dunque, con il passaggio di proprietà di alcuni terreni, i braccianti arabi si ritrovavano sia disoccupati sia costretti ad emigrare altrove).
L'episodio più critico si ebbe con la Grande Rivolta Araba del 36-39, con gli arabi che insorsero clamorosamente contro i britannici e colpirono a più riprese anche comunità ebraiche; gli ebrei per contro organizzarono forze paramilitari e combatterono a fianco degli inglesi per reprimere l'insurrezione.

A questo periodo risalgono due passaggi importanti: 1. la commissione Peel per la prima volta ipotizzò la necessità di creare di due stati separati per i due popoli, la cui omogeneità etnica sarebbe stata ottenuta con un trasferimento massiccio di popolazione (ma asimmetrico: si sarebbero dovuti spostare oltre 200 mila arabi contro poco meno di 2 mila ebrei); 2. il libro bianco per la prima volta determinava una pianificazione quinquennale per l'immigrazione ebraica nella zona che poneva un tetto annuo di immigrati, limitava la possibilità di acquisto di terre da parte dell'agenzia ebraica, e stabiliva per il futuro che le politiche sull'immigrazione ebraica sarebbero state concordate con gli arabi.

Al termine del conflitto mondiale, la popolazione della Palestina era di 1 milione ed 800 mila unità, di cui sempre poco meno di un terzo ebrei.
Nell'ottica della costituzione dell'ONU, la Società delle Nazioni venne sciolta ed in particolare il 18 aprile 1946 "le sue funzioni rispetto ai territori mandatari" vennero dichiarate "terminate"; va sottolineato come non esista alcun atto legale che implicasse il trasferimento di sovranità delle amministrazioni fiduciarie dalla Società delle Nazioni all'ONU.
Nell'immediato dopoguerra la situazione era incandescente, in conseguenza delle spregiudicate azioni terroristiche da parte di diversi gruppi ebraici - essenzialmente ai danni della potenza mandataria - così - a prescindere dal problema della legalità o meno della loro autorità amministrativa - i britannici, ormai consci dell'impossibilità di soddisfare le confliggenti aspettative di arabi ed ebrei, manifestarono pubblicamente verso la metà del 47 l'intenzione di rinunciare unilateralmente al Mandato di lì a un anno.

Si pensò, così, di affidare alla neonata ONU il problema di determinare un nuovo assetto della zona; così l'Assemblea Generale creò una apposita commissione (denominata UNSCOP e formata da sole nazioni "minori", con l'intenzione di prevenire un'eventuale posizione preconcetta sulla questione) deputata a redigere una bozza sullo status da mettere in atto a partire dall'imminente ritiro britannico; alla fine fu elaborato un piano di spartizione, in base al quale la Palestina veniva suddivisa in tre zone: uno stato arabo, uno ebraico, ed una zona di amministrazione fiduciaria corrispondente alla popolosa area intorno a Gerusalemme (all'epoca abitata in modo rilevante sia da ebrei che da arabi). Agli ebrei, che sul finire del 47 costituivano il 37% della popolazione, era assegnato il 55% del territorio (di cui fino a quel momento avevano posseduto solo il 7%); in particolare la regione settentrionale presso il lago di Tiberiade, la fascia costiera centrale e quasi tutto il Negev (desertico, ma ricco di risorse), compreso lo sbocco sul Mar Rosso; il loro stato avrebbe ospitato una minoranza araba enorme, pari al 45% della popolazione. Per contro, lo stato arabo era formato da tre blocchi, la Galilea, la regione circostante Gerusalemme lungo la costa ovest del Giordano, e la regione costiera meridionale; la minoranza ebrea sarebbe stata del 10%.
Importante notare come essuna delle due entità avrebbe avuto contiguità territoriale. Lo sbilanciamento a favore degli ebrei nell'assegnazione delle terre - sia quantitativo che qualitativo: nello stato ebraico era concentrata la gran parte delle terre coltivate - era giustificato in termini della prevista ondata di immigrati provenienti dall'Europa come conseguenza geopolitica della Shoah. Da un certo punto di vista si ripresentava l'asimmetria del piano della commissione Peel: mentre il 31% degli arabi, ossia 405.000 persone, non si sarebbero trovati a vivere né nello Stato arabo, né nella regione di Gerusalemme, solo il 2% degli ebrei, cioè 10.000 persone, non si sarebbero trovati né nello Stato ebraico, né nella zona internazionale di Gerusalemme.

La proposta dell'UNSCOP fu sottoposta all'esame dell'Assemblea Generale; per essere approvata necessitava di una maggioranza dei 2/3; dopo due votazioni con esito negativo il 29 novembre 47, grazie ad un indefesso lavorio diplomatico, anche notturno, da parte delle elite ebraiche e degli USA, fu promossa all'interno della risoluzione 181 (33-13-10), con il voto favorevole delle due superpotenze, quello contrario di tutti i paesi arabi, e l'eloquente astensione britannica (che già preconizzava l'inadeguatezza del piano).

Gli ebrei (ovviamente) erano sostanzialmente favorevoli alla proposta, mentre gli arabi erano quasi completamente contrari. Gli stati arabi membri dell'ONU dissero di considerare la risoluzione nulla ed invalida (va detto peraltro che le risoluzioni dell'Assemble Generale sono generalmente considerate non vincolanti sul piano del diritto internazionale) e fecero immediato ricorso alla corte internazionale di giustizia per un suo annullamento; si obiettava (peraltro proprio sulla scorta del principio di autodeterminazione, che l'ONU stessa pretendeva di ergere a pilasto della politica internazionale) sulla competenza dell'assemblea delle Nazioni Unite nel decidere la ripartizione di un territorio contro la volontà della maggioranza (araba) dei suoi residenti; il ricorso fu respinto.

Questo della Palestina costituiva, per l'ONU, il primo significativo banco di prova; e molto significativamente, il giorno dopo l'approvazione della 181 in Palestina scoppiava la guerra civile.

Il 14 maggio 1948, un giorno prima che terminasse il mandato britannico, gli ebrei (che in quel momento controllavano una zona sostanzialmente coincidente con quella prevista dal piano di partizione, con l'aggiunta di una lingua di terra che raggiungeva la zona degli insediamenti ebraici nella parte ovest di Gerusalemme) proclamavano (a partire dal giorno successivo) la nascita dello Stato di Israele; il riconoscimento da parte degli Stati Uniti fu questione di ore; tuttavia Israele era guardato con simpatia anche dalle sinistre mondiali; così il riconoscimento ufficiale da parte dei più importanti attori della comunità internazionale arriveranno già nel corso del suo primo anno di esistenza (questo è uno spoiler: Israele sopravviverà). A partire dal 15 maggio gli eserciti dei paesi arabi confinanti entravano in Palestina.

Al termine dei combattimenti (marzo 1949) diversi accordi armistiziali suddivisero de facto la Palestina nelle zone controllate dai belligeranti al momento del cessate il fuoco: Israele, dopo alterne vicende, si era ulteriormente allargato estendendosi praticamente su tutta la Palestina ad eccezione della striscia di Gaza, controllata dall'Egitto, e della Cisgiordania, controllata dalla Giordania; in assenza di veri e propri trattati di pace internazionali tra le parti in causa (in assenza peraltro di reciproco riconoscimento), le linee di demarcazione non divennero mai dei confini de jure; in particolare la "linea verde" che separava le zone israeliana e giordana divideva pure Gerusalemme: la parte est era sotto il controllo giordano, quella ovest sotto quello israeliano.
La società arabo-palestinese era distrutta; diverse centinaia di migliaia di arabi avevano lasciato (in parte spontaneamente, in parte forzatamente) le loro case, ed al termine della guerra trovarono rifugio a Gaza, in Cisgiordania ed, in misura minore, in (trans)Giordania (alcuni anche in Libano ed Egitto). Gli stati arabi uscivano dalla guerra sostanzialmente sconfitti militarmente, gravati dal problema sociale ed economico dei profughi, e destinati a fronteggiare le inevitabili ripercussioni sull'ordine interno della mancata vittoria sulla cosiddetta "entità sionista".

Dopo essere stata ammessa nelle Nazioni Unite, tra il dicembre 49 ed il gennaio 50 Israele determinò Gerusalemme propria capitale, trasferendo i suoi principali enti amministrativi nella parte ovest della città; successivamente, sempre nel 50, la Giordania proclamò l'annessione di tutta la Cisgiordania, dunque anche di Gerusalemme Est; non nacque alcuno stato arabo.

(continua)

5 commenti:

Bubbo Bubboni ha detto...

Capisco che sia una "breve storia" e non un libro... però mi pare che ci siano un po' di dati "arrotondati". Perché?

Credo che guardare con attenzione aiuta ad incontrare quelle parti della società civile che, da ambo le parti, vogliono e credono in una soluzione pacifica del conflitto. Non sostengo una parte o l'altra in modo miope, perché nel mucchio ci sono anche quelli che credono che dio gli ha dato quella terra e hanno il diritto di uccidere tutti gli altri.

Assumendo questo punto di vista la storia passata non fa più paura. E non c'è bisogno di "dimenticarsi" dei passaggi perché fanno capire che non ci sono "buoni" e "cattivi" ma eserciti che hanno parlato anche troppo.

Ad esempio non sarebbe opportuno considerare che "Il 15 maggio 1948, Gran Muftì di Gerusalemme rivolse un appello agli arabi palestinesi perché abbandonassero il paese, Haifa, Jaffa e le altre città in quanto gli eserciti arabi sono in procinto di entrare per battersi contro le bande ebraiche e cacciarle dalla Palestina" (dal giornale egiziano Akbar El Yom del 12 ott. 1963)?

Oppure che i profughi erano numericamente assorbibili senza problemi dagli altri paesi arabi, ma furono messi nei ghetti per una precisa scelta politico-militare?

Insomma quella di considerare la popolazione civile come "segnaposto" in mano ai militari è una vecchia abitudine, credo che vada evidenziata e condannata, non "dimenticata".

Insomma ti sei scelto un bel tema da trattare... tanto vale guardarlo senza paura che qualcuno faccia una brutta figura...

atlantropa ha detto...

Nella remota eventualità che un giorno io vada a modificare questo post, ed in una maniera tale da far sembrare il precedente commento in qualche modo incongruente, preciso doverosamente che esso fa riferimento a questa versione dei fatti. Lungi da me la prospettiva che un Terzi qualunque, benchè remoto ed eventualissimo, possa farsi l'idea che Bubboni scriva delle incongruità.


Carissimo Bubboni,
forse avrei dovuto mettere da qualche parte una qualche avvertenza sulle finalità di questo spazio; esso viene e verrà usato solo come un database remoto; ciascun testo non pretenderà (almeno non necessariamente) di essere un resoconto completo ed esatto di un certo argomento, ma solo di fare un opportuno sunto delle mie conoscenze su di esso; ovviamente in presenza di un dato errato o incompleto in modo da risultare fuorviante, procederò più che volentieri a correggere o completare; insomma è una wikipedia POV, con me come unico editore e commentatore - e dunque praticamente senza alcun altro contributore e/o lettore.

Nella fattispecie, questa cronistoria è stata scritta in occasione delle tante discussioni nate in concomitanza con Piombo Fuso; poichè più e più volte mi sono imbattuto in ricostruzioni storiche a mio giudizio troppo mistificanti o strumentali, ad un certo punto ho pensato di appuntare qualcosa e - piuttosto che intasare spazi altrui - di rimandare volta per volta qui.

Benchè non possa non dispiacermi del fatto che la mia sintesi ti sia parsa così misera - ed io di conserva - sono almeno lieto che l'appunto che mi hai mosso non è quello di aver fornito una ricostruzione sbilanciata a favore di Israele; dopo anni in cui ero sempre l'antisemita del villaggio, sono ormai mesi che vengo preso per un acritico sostenitore delle ragioni di Israele, che quasi iniziavo ad avere una crisi di identità (meglio bubbo che tifoso). In particolare, ho utilizzato questo resoconto per refutare essenzialmente due vulgate: da un lato la gettonatissima idea che lo stato di Israele sia stato un "risarcimento per la Shoah" e sia "sorto a spese degli arabi", spesso completata dall'abduzione che parte del conto della Shoah sia stato accolato ad altri; dall'altro quella che gli arabi "abbiano senza ragione rifiutato di creare un loro stato in Palestina", così chi è causa del suo mal...

Anch'io penso che non ci siano buoni e cattivi; o meglio prima di chiunque altro chiamerei sul banco degli imputati gli stati atlantici (e più in generale il colonialismo, l'ONU e la comunità internazionale).

Entro brevemente [corsivo nostro] nel merito degli elementi da te menzionati.

Ora come ora - almeno che io sappia - la storiografia non fornisce una ricostruzione sufficientemente accurata dell'esodo palestinese; il quadro è splittato in due, di fronte ad un massiccio abbandono spontaneo ce ne sarebbe stato uno abbastanza stimolato da parte ebraica (alcuni esponenti della Nuova Storiografia arrivano addirittura a parlare di operazioni o financo strategie di pulizia etnica) ed in mancanza di ricostruzioni globali del fenomento, con tanto di cifre affidabili a corredo, temo sia impossibile stabilire se si sia trattato di due fenomeni dello stesso ordine di grandezza, ovvero, in caso contrario, quale dei due sia stato il termine fondamentale e quale la perturbazione.

Quanto alla possibilità, da parte degli altri stati arabi, di assorbire i profughi, personalmente non sono in grado di pronunciarmi. Probabilmente è così - ho fornito le cifre degli abitanti della regione nel 47, ed oggi ce ne sono 10 volte tanti -
senz'altro la fratellanza musulmana è più un nome proprio di un'organizzazione religiosa che non un implementato ideale di solidarietà (credo di aver menzionato, in proposito, l'annessione giordana della West Bank).

Senz'altro la ricostruzione del conflitto del 47-49 è stata fatta per sommi capi; mancano del tutto il King David, il fatto che i marxisti arabi fossero favorevoli al piano di partizione mentre le frange ebraiche più religiose si opponessero allo status internazionale di Gerusalemme, il Gran Muftì, l'embargo sulla fornitura d'armi ed il suo allentamento, la conquista della città vecchia da parte della Legione Araba, e chiaramente le tantissime altre cose che non so.

Personalmente l'omissione per cui più mi sento in colpa è quella relativa alla nascita dello stato (trans)giordano; non ho neppure menzionato il fatto che la Palestina mandataria si estendesse su un territorio comprendente tanto la Palestina nel senso odierno quanto la Giordania; non ho specificato cos'è e da dove proviene la dinastia hashemita; non ho collegato il regno hashemita alla Rivolta Araba, cui pure faccio accenno; non ho dato cifre sulla ripartizione etnica nella zona al di là del giordano; e così via. Insomma, non ho minimamente chiarito come l'idea che il territorio da spartire fosse solo ed esclusivamente la fettina al di qua del Giordano non fosse propriamente una necessità storica, ma una conseguenza di altre ben determinate decisioni. Se mai avrò modo di modificare questo raccontino, credo che ripartirò da lì.

Nel frattempo sarò ben lieto di ospitare qui, nei commenti, ogni intervento di critica, ogni contributo volto a completare il quadro, ogni interpretazione razionale e non meramente faziosa dei fatti.

atlantropa ha detto...

E invece no, le perplessità di Bubboni sono assolutamente condivisibili (e qui parlo solo di ciò ch'egli ha fatto notare esplicitamente; chissà quante altre ragionevoli obiezioni possono essere mosse a quel riassuntino), visto che, rileggendo oggidì il paragrafo incriminato ho avuto io stesso l'impressione di un taglio un po' parziale, di toni ai limiti del libello di propaganda. Benchè quell'affermazione (espulsioni di masse arabe dallo stato di Israele) fosse a suo tempo stata tratta parola per parola da un testo di Benny Morris (quindi, per conto mio, era, per così dire, battezzata buona), va giustamente riconosciuto che la stessa proposizione acquista un peso differente se immersa nel contesto (in questo caso molto più ampio e dettagliato), oppure estrapolata e copincollata.
Per il momento mi sono limitato a rielaborare; sebbene i termini rimangano ancora vaghi ed intrisi di cerchiobottismo wikipediano, almeno mi auguro non siano più fuorvianti; spero, prima o poi, di essere in grado di scrivere qualcosa di un po' più preciso - e magari wikipedianamente boldo.

Bubbo Bubboni ha detto...

Ammiro il tuo coraggio nel trattare, con apertura mentale, questioni complesse e che poco si prestano alla sintesi della comunicazione moderna.

Tra le fonti, anche se per forza di cose con un taglio artistico e non documentaristico, ti raccomando i film di Amos Gittai e in particolare Kedma.

Lo so, non è un intellettuale piovuto dalla luna, ma dice due cose interessanti:
- capire il contesto è essenziale, non per giustificare la violenza o i fatti futuri, ma per riuscire a leggere le notizie passate ora che i fatti sono lontani. E' un po' come leggere Shakespeare: se non sai che una volta non c'erano i telefonini non puoi capire "Romeo e Giulietta";
- in medioriente c'è una fascia di intellettuali davvero notevole, che ha delle cose da dire non scontate, non riassunte dalle divise, dalle armi o dalla comunicazione occidentale. Vale la pena di sentirli di persona, quando c'è qualcuno di passaggio in 3D e non in TV.

Credo che se uno è disposto ad ascoltare e a cercare di capire può dare un grande contributo alla pace e alla giustizia.

Personalmente non intervengo in pubblico sul tema perché ho un grande limite: non leggo l'arabo o, meglio, lo leggo ma non capisco cosa sono i graficamente bellissimi segnetti. Sento che per capire una politica che, a prima vista, mi pare incomprensibile avrei bisogno di accedervi senza le solite "selezioni" ad usum Delphini.

Intanto mi rimane il disprezzo per le "soluzioni" militari, sia che vengano classificate come guerre sia che le chiamino "di pace".

atlantropa ha detto...

Carissimo Bubboni,
premesso che ciò che può sembrare coraggio a volte è solo incoscienza, anch'io sono letteralmente stupefatto che nel mondo ci siano ancora posti dove la forma di vita homo intellectualis, notoriamente meno adattativa dell'altra, non sia anchora estinta.

Che si scrivano (e si pubblichino) libri o studi storiografici con l'intenzione dichiarata di dischiudere il proprio stesso armadio in cerca di eventuali scheletri, quando le terre del più o meno vicino sono tutte un biancheggiare d'ossa dei propri cari; che si scelga di autodenunciarsi (e sulla pubblica piazza, non in camera caritatis) consegnando pure le prove della propria colpevolezza, quando sarebbe facile invocare la legittima difesa o la proporzionata reazione; che si riesca a trovare l'onestà di ammettere (ad alta voce, non biascicando) le ragioni di chi sta dall'altra parte della barricata, quando tutti gli altri intorno sono intenti a combattere in hoc signo; che in ultima analisi (per abusare Pavese) si sappia vedere nella morte dell'altro qualcosa di umano, di proprio; beh, non è esattamente banale.

Rilancio pure il tuo spunto finale: sarebbe bello capire, almeno a posteriori, se il processo di pace non sia stato piuttosto solo un processo di "pace" - chè per esempio i due trattanti di Taba nelle loro rispettive vite avranno indossato più mimetiche che jeans.